lunedì 7 febbraio 2011

Storia del Genoa 2

TRANSIZIONE

L'Andrea Doria riesce a sovvertire le gerarchie cittadine. L'addio a Ponte Carrega. La federazione decide per un campionato senza stranieri e provoca la ribellione della maggior parte delle squadre, che danno luogo ad un altro torneo. Comincia la grande rivalità con la Pro Vercelli. Il Genoa cambia ancora casa e va a giocare a Marassi.

Il 1907 vide la riorganizzazione del campionato da parte della Federazione, che decise di far effettuare 6 partite tra le squadre di Genova, Torino e Milano. Per la prima volta nella sua storia il Genoa fu eliminato in campionato dalla concittadina Andrea Doria: il pareggio (1 a 1) del primo incontro rese necessaria la ripetizione della partita che si concluse con la clamorosa vittoria dei biancoblù doriani capitanati dal fuoriuscito Calì per tre goal a uno. Pochi giorni dopo le due squadre si incontrarono di nuovo in amichevole e il Genoa, travolgendo gli avversari per 10-1, dimostrò che si era trattato di un semplice incidente di percorso. Quello stesso anno la Società si trovò a far fronte alla necessità di reperire un nuovo campo di gioco perché l'ex Velodromo di Ponte Carrega era stato destinato alla costruzione di un enorme gasometro. Il problema fu risolto grazie all'interessamento del dirigente-giocatore Vieri A. Goetzlof, un commerciante di carbone valdese, naturalizzato genovese, che riuscì a concludere, accollandosi personalmente l'onere finanziario, per un'area nella zona di San Gottardo, sempre nella vallata del Bisagno ma più a nord rispetto a Ponte Carrega. Sul nuovo campo, inaugurato l'8 dicembre 1907 con una amichevole contro l'equipaggio del vapore inglese Canopic, il Genoa avrebbe giocato per tre anni. Nel frattempo la Federazione, su pressione di alcune società nelle cui fila militavano esclusivamente atleti italiani, dette luogo ad una decisione molto discutibile, decidendo di proibire il Campionato ai calciatori stranieri. Il diktat federale, vide la decisa opposizione di Genoa, Milan e Torino. Iniziò così nel 1908 il primo campionato "autarchico" da cui si dissociò dopo un paio di giornate anche la Juventus, e che vide la vittoria della Pro Vercelli, che andava ad inaugurare il suo periodo aureo nel corso del quale si sarebbe accaparrata ben 5 campionati in sei anni. A settembre dalla Svizzera arrivarono tre nuovi acquisti: Hug, Herzog e Hermann, un jolly, un mediano e una mezzala che andavano ad aggiungersi al loro compatriota, il centravanti Hurni. La squadra fu completata da altri elementi di valore quali il centromediano Luigi Ferraris (al cui nome 25 anni più tardi verrà intitolato lo stadio) e l'ala Marassi (detto "catapulta") entrambi provenienti dalle giovanili di Spensley. Il nuovo campionato (1909) rivide in campo le squadre blasonate grazie alla revoca dell'assurdo regolamento sui giocatori stranieri. E proprio da quell'anno, iniziò la forte rivalità con la Pro Vercelli, dovuta all'occhio di riguardo con cui la Federazione seguiva le vicende della compagine piemontese, formata esclusivamente da giocatori italiani. Nella città piemontese il Genoa finì la partita in dieci uomini in quanto Hug uscì dal campo con una gamba fratturata dopo uno scontro al limite del codice penale con un terzino vercellese. Nel ritorno di Genova, grazie anche al discutibile arbitraggio di Meazza, i rossoblù non andarono oltre il pareggio. Ben presto anche il campo di San Gottardo cominciò a presentare degli inconvenienti dovuti soprattutto all'incremento del pubblico, effetto del crescente favore incontrato sin da allora dal calcio, nonostante la lontananza eccessiva dal centro della città e causata dalla limitatezza della capienza delle tribune. Per ovviare a questi inconvenienti, Musso Piantelli propose al presidente Pasteur l'utilizzo del terreno all'interno del galoppatoio adiacente alla cinquecentesca villa di sua proprietà nel quartiere di Marassi. Pasteur accettò anche l'unica condizione posta da Piantelli e cioè che fosse mantenuta la pista ad anello per l'equitazione e che la Società si fosse fatta carico delle spese per la manutenzione del maneggio. Così il 10 luglio 1910 il Genoa entrò in possesso del nuovo terreno di gioco. Nel frattempo, la mancanza di vittorie in campionato, fu coperta da quella di altri trofei. Il più prestigioso fu quello messo in palio dall'ex presidente Goetzlof: la coppa che porta il suo nome sarebbe stata assegnata alla squadra capace di ottenere consecutivamente quattro risultati positivi (vittorie o pareggi) con altrettante sfidanti. La conquistò il Genoa battendo l'Inter fresco di titolo con un clamoroso 10 a 2, il Milan, l'Andrea Doria per forfait e pareggiando con il Torino. Il 22 gennaio 1911 fu inaugurato il nuovo stadio di Marassi. , dotato di due tribune riparate dal sole e dalla pioggia per una capienza totale (compresi i parterre tutt'intorno al prato) di circa 25.000 spettatori. Uno stadio che ricordava molto da vicino gli impianti inglesi e che fu subito considerato il migliore d'Italia. A ottobre ricominciò il campionato e il Genoa si presentò con rinnovate mire: dall'Inghilterra erano arrivati Miller, Stocker e Marsch, dalla Svizzera il portiere Surdez e l'attaccante Comte che vanno ad aggiungersi all'ala Mariani (ex Milan) e all'inglese Murphy arrivati la stagione precedente. L'inizio del nuovo torneo fu esaltante per il Genoa: 13 punti su sette partite, tra le quali spiccarono una sonora cinquina (a uno) rifilata alla Juventus e la vittoria (1-0) sul Milan che si sarebbe poi aggiudicato quel campionato. Ma ancora una volta lo scoglio fu rappresentato dalla Pro Vercelli che, con un goal per tempo, interruppe sul proprio campo la cavalcata vittoriosa dei rossoblù.



ARRIVA GARBUTT

Il Genoa adotta il modello inglese. Arriva dall'Inghilterra un certo Thomas Garbutt, il primo allenatore professionista della storia del calcio italiano. L'importanza della preparazione tecnica assume la giusta rilevanza, ma non solo. Il lato psicologico è la vera forza di Garbutt. Arrivano i rinforzi da Oltremanica.

Nel 1912, il Genoa, che aveva ormai preso a modello le società professionistiche inglesi imitandone molti aspetti, decise di introdurre una figura sino ad allora mai presa in considerazione nel nostro paese, quella dell'allenatore. Il primo a ricoprire tale carica fu un certo William Thomas Garbutt, che era stato ottimo giocatore nelle file del Reading e dell'Arsenal, nelle cui file aveva collezionato oltre 130 presenze nella massima serie. L'arrivo di Garbutt, fu dovuto all'intuito del presidente Aicardi, il quale decise di dare seguito ad una segnalazione che gli era arrivata da oltre Manica, ove Garbutt si stava facendo le ossa come trainer dopo aver abbandonato il calcio giocato e di portarlo all'ombra della Lanterna. Era un passo decisivo nell'evoluzione del calcio italiano. Con lui infatti, arrivò una vera e propria rivoluzione nelle tecniche di allenamento, che sino ad allora erano state più che altro delegate all'intuito e che invece da quel momento assumevano un ruolo di rilievo nella preparazione della squadra. L'aspetto artigianale, stava per lasciare il passo a tecniche più avanzate, che prefiguravano la fine dell'era romantica del calcio. Ma quello che distingueva Garbutt, permettendogli di ricavare il massimo dal materiale umano che gli veniva messo a disposizione, era l'aspetto psicologico. Anche nei rapporti umani era insuperabile, riuscendo a creare uno spirito di corpo fra tutti i giocatori con i quali instaurava un rapporto amichevole senza perdere per questo il suo grande carisma e la sua autorità. Dall'Inghilterra Garbutt si portò in Italia anche i rinforzi della squadra: l'ala destra Eastwood, il centravanti Grant e la piccola ala Wallsingham, oltre al centrosostegno Mitchell e a MacPherson. Buona parte dei giocatori stranieri, erano professionisti nella loro patria e gli stipendi che il Genoa pagava loro venivano camuffati sotto le voci più strane come "rimborso spese", "malattia", "viaggio in cerca d'impiego" oppure erano messi a libro paga in qualcuna delle aziende di proprietà dei dirigenti rossoblù. Una piccola ipocrisia che stava ormai per essere spazzata via dall'evoluzione del calcio.



RITORNO ALLA VITTORIA

Nel 1912 il campionato diventa veramente nazionale, allargandosi al centrosud. La spunta ancora la Pro Vercelli. Geo Davidson diventa presidente e non bada a spese: arriva il grande De Vecchi. Il conflitto con la Federazione porta il Genoa sull'orlo della radiazione. La finale persa col Casale fa da preludio al ritorno alla vittoria del 1914.

Una evoluzione ormai inarrestabile, che aveva fatto breccia anche al centrosud, ove si erano formate tante squadre forse in ritardo verso le consorelle settentrionali, ma piene di sano entusiasmo per il nuovo gioco proveniente dall'Inghilterra. La Federazione, proprio in quel 1912, prese atto della nuova realtà e decise di dar luogo ad un torneo nazionale con trenta squadre, articolato su gironi territoriali che avrebbero dovuto esprimere due finaliste, una per il Nord e l'altra per il centromeridione. Il Genoa, arrivò secondo in quello ligure-lombardo e poi in quello finale, alle spalle della solita Pro Vercelli. Ma il Genoa non demordeva e continuava - tassello dopo tassello - a costruire una squadra sempre più forte. Geo Davidson, un imprenditore scozzese trapiantato a Genova e uno dei soci fondatori del vecchio Athletic Club, nell'estate del 1913 decise di assumere la presidenza del Genoa. Davidson aveva grandi ambizioni e di conseguenza non perse tempo e ancor prima di essere ufficialmente investito dell'onorifica (e onerosa) carica (cosa che avvenne il 9 ottobre successivo) si diede immediatamente da fare per trovare i rinforzi adeguati. E senza badare a spese. Da tempo aveva adocchiato un giovanissimo terzino che tre anni prima, appena sedicenne, aveva esordito in Nazionale e che nel campionato appena terminato aveva fatto vedere tutta la straordinaria classe di cui godeva. Il suo nome era Renzo De Vecchi e proprio in quei giorni si trovava in disaccordo con la dirigenza della sua squadra, il Milan, per motivi di carattere finanziario. Davidson riuscì ad inserirsi nella diatriba e convinse De Vecchi a trasferirsi a Genova. Ma altri giocatori erano nel mirino dell'intraprendente scozzese, che può essere considerato a buon diritto il primo presidente mecenate della storia del calcio italiano e sicuramente il principale artefice di un altro primato andato ad arricchire il carniere del Grifone. Il Genoa - secondo la Federazione di quei tempi - era accusato di aver scatenato qualche cosa di paragonabile alla cosiddetta sentenza Bosman dei nostri giorni: il professionismo nell'allora (ufficialmente) dilettantesco mondo del calcio. Se era passato inosservato, almeno sotto l'aspetto economico, il trasferimento di De Vecchi al Genoa, il passaggio nelle fila rossoblù di Attilio Fresia dall'Andrea Doria per 400 lire e quello ancora più grave dei doriani Sardi e Santamaria per 1600 lire a testa portarono ad un vero e proprio conflitto con la Federazione. La radiazione della società, proposta dai puristi cui non andava giù l'introduzione del professionismo insieme all'espulsione dei suoi dirigenti, la sospensione a vita dei giocatori, fu evitata grazie alla grande abilità oratoria di Edoardo Pasteur che, in un processo intentato contro il Genoa, riuscì a convincere i giudici della buona fede dei dirigenti rossoblù. Il campionato 1913-14 fu - nonostante le premesse - un ulteriore passo di avvicinamento all'agognata meta della vittoria finale che mancava ormai da dieci anni. Il Genoa si qualificò al girone finale eliminando finalmente la Pro Vercelli, sconfitta a domicilio (per la prima volta in campionato) per uno a zero. Tuttavia la vittoria finale arrise a un'altra società piemontese, quel Casale che proprio in quel lasso di tempo era riuscito a costruire uno squadrone e che superò a Genova il Grifone nella partita d'esordio del girone finale in uno spasmodico incontro che vide i nerostellati segnare a pochi minuti dalla fine il contestatissimo goal del 2 a 1 dopo che Grant aveva riagguantato il pareggio. Il 4 ottobre 1914 iniziò il nuovo campionato e il Genoa, ancora una volta in rotta con la Federazione e condannato a pagare una multa e a subire la squalifica del campo per aver "acquistato" Berardo e Mattea dal Casale, si trasformò in una vera e propria macchina da goal. Se ne accorsero squadroni come la Juventus (4-0 e 5-2), l'Internazionale (5-3 e 3-1) e il Milan (3-0) a Milano. Quando però mancava una giornata al termine, con una classifica che vedeva il Genoa primo a due punti dal Torino, successe ciò che tutti ormai si aspettavano. Giunse infatti un dispaccio dalla Federazione: il campionato era sospeso in quanto era prevista per il giorno dopo - il 24 maggio - la mobilitazione generale: l'Italia entrava in guerra contro l'Austria.

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