lunedì 7 febbraio 2011

Storia del Genoa 4

LA GRANDE BEFFA

Il Genoa è ormai la squadra da battere, per tutti. La finale con il Savoia si rivela una pura formalità. Il Genoa dei genovesi. Un epilogo incredibile: le tre finali contro il Bologna. Lo spareggio di Milano si trasforma in una vera e propria bolgia, per la presenza di squadristi in campo. Arpinati muove le sue pedine e il Bologna la spunta.

Ormai, il Genoa era la squadra da battere, come dimostrò anche nella stagione 1923-24. Arrivato primo nel Girone A della Lega Nord, il Genoa superò il Bologna nelle due finali di Lega per concludere la vittoriosa galoppata con le due finali nazionali con il Savoia di Torre Annunziata che aveva sorprendentemente eliminato le romane Lazio e Alba. L'ultima partita, quella che sancì la definitiva vittoria del titolo, fu giocata il 7 settembre 1924, il trentunesimo compleanno del Grifone. Ad aumentare la soddisfazione, c'era la constatazione che quello degli scudetti degli anni Venti, era un Genoa formato soprattutto da genovesi. Gli unici provenienti da fuori regione, erano il milanese De Vecchi, l'anziano Mariani e il torinese Leale. Il 1924, vide tutta una serie di novità nella rosa di prima squadra, a partire da Sardi che, per sopraggiunti limiti d'età, gettava la spugna, sostituito da quel Cesare Alberti, attaccante del Bologna, ceduto gratuitamente al Genoa in quanto ritenuto finito a causa della rottura del menisco. Operato dal professor Drago (intervento eseguito per la prima volta su di un atleta in Italia) Alberti qualche mese dopo rientrò in campo risultando fino alla sua prematura scomparsa, avvenuta nei primi mesi del 1926 per una infezione virale, una pedina importantissima nello scacchiere di Garbutt. Alcuni incidenti di percorso, nelle eliminatorie, fecero da prologo ad un finale di campionato a dir poco sorprendente. Il Genoa si ritrovò per la terza volta di fronte al Bologna. Nella prima finale disputata nel capoluogo felsineo si imposero i rossoblù genovesi per 2 a 1. Nel ritorno i Grifoni, troppo sicuri del fatto loro, come era successo quattro anni prima con la Pro Vercelli, si fecero battere a domicilio con lo stesso risultato. La "bella" venne disputata il 7 giugno sul campo (neutro) del Milan strabordante di tifosi di entrambe le squadre (arrivati con treni speciali) e di molti milanesi. Ben presto un gran numero di squadristi bolognesi andarono a schierarsi tutt'intorno al rettangolo di gioco. L'arbitro Mauro diede il fischio d'inizio della partita sperando di veder arrivare i duecento agenti promessigli per ristabilire l'ordine, che però non giunsero mai. Alla fine del primo tempo il Genoa conduceva per 2 a 0 (reti di Catto e Alberti). Al 16' della ripresa successe il fattaccio: De Prà, con un balzo felino, riuscì a deviare sull'esterno della rete un bolide di Muzzioli. Mauro prima assegnò il calcio d'angolo, ma poi, a causa della pressione insostenibile del pubblico di fede bolognese, entrato sul terreno di gioco per andare a reclamare il punto insieme ai propri giocatori convinti che il pallone avesse superato la linea fatale prima di finire fuori, dopo aver tenuto duro per tredici interminabili minuti, assegnò la rete al Bologna fra l'incredulità dei giocatori e dei supporter genoani. Premurandosi però di sussurrare a De Vecchi che la partita era da considerare conclusa. Quando a sei minuti dalla fine Schiavio siglò la rete del pareggio mentre Pozzi tratteneva vistosamente De Prà onde impedirgli la parata, De Vecchi e i suoi non rientrarono in campo per i supplementari, convinti che la Disciplinare avrebbe ristabilito la verità. Ma Leandro Arpinati, federale di Bologna e deus ex machina della Federazione calcistica, si attivò con tutta la sua potenza per cambiare le carte in tavola. L'arbitro Mauro, evidentemente minacciato, nel suo rapporto cambiò completamente la versione dei fatti trasformando un'invasione in piena regola in una "presenza di alcuni estranei sul terreno di gioco". La partita doveva così essere ripetuta il 5 luglio a Torino. E terminò ancora in un pareggio (1-1) questa volta in maniera regolare, anche dopo i tempi supplementari. Ma ormai gli animi si erano surriscaldati. Alla stazione di Porta Nuova, nell'immediato dopo partita, da un finestrino del treno speciale dei tifosi bolognesi furono sparati alcuni colpi di pistola verso il treno dei genovesi, fra i quali uno rimase ferito. Il Genoa protestò, inoltrò una richiesta ufficiale perché venissero puniti i colpevoli. La Federazione, ormai nel marasma, non decise nulla. Alla fine i dirigenti genoani si rifiutarono di disputare altri incontri finché le cose non si fossero definitivamente chiarite e ordinarono il "rompete le righe" ai loro giocatori. Dello scudetto 1924-25 se ne sarebbe riparlato in autunno. Ma era un tranello. Improvvisamente da Roma giunse un diktat: la finale si sarebbe disputata improrogabilmente il giorno dopo (18 agosto) alle sette del mattino a porte chiuse allo stadio Vigentino nella periferia milanese. Se il Genoa si fosse rifiutato di giocare sarebbe stato radiato dalla Federazione. I giocatori, praticamente già tutti al mare, furono richiamati in gran fretta, mentre i bolognesi, avvertiti per tempo, avevano continuato ad allenarsi per un mese intero. Il risultato fu scontato: i rossoblù di Garbutt, dopo aver cercato disperatamente di pareggiare la rete segnata da Pozzi al 27' del primo tempo (i petroniani erano rimasti in dieci per l'espulsione di Giordani reo di un fallaccio su Santamaria), furono beffati in contropiede a cinque minuti dalla fine.



L'ADDIO DI GARBUTT

De Vecchi lascia la Nazionale. Arriva il re dei bomber, Felice Levratto. Ecco il professionismo. Il Genoa è costretto a inserire il fascio littorio sulla maglia e a cambiare la sua ragione sociale, diventando FC Genova. Ma il peggio deve ancora arrivare: settori fascisti della società costringono Garbutt a lasciare, in nome dell'autarchia.

Il 1925 era stato l'anno dell'ultima partita di capitan De Vecchi in Nazionale dopo 31 partite con la maglia azzurra, nel corso delle quali il fortissimo difensore aveva dispensato il suo altissimo magistero calcistico anche a livello internazionale. Ma fu anche l'anno dell'arrivo in rossoblù di un nuovo fuoriclasse. Fisico possente, scatto micidiale e tiro al fulmicotone: si trattava dell'ala Felice Levratto, uno dei più celebri sfondareti del calcio d'epoca, acquisito dal Verona. Intanto però le carte si rimescolavano in maniera molto profonda perchè cominciavano le defezioni di alcuni fra i maggiori e più celebrati protagonisti degli ultimi anni: Leale aveva appeso le scarpe al chiodo per dedicarsi alla politica, Bellini passò all'Inter mentre anche Bergamino e Santamaria si ritirarono dall'attività. Le grandi novità interessavano anche il settore dirigenziale ove, nel frattempo, anche il presidente Guido Sanguineti aveva dato temporaneamente le dimissioni per seguire le sue aziende in Sudamerica.
Il 1926 vide una grande novità, l'introduzione dei contratti ufficiali fra le società e i calciatori, che istituzionalizzava il professionismo, prendendo atto di una pratica ormai in voga e portandola alla luce del sole. Per un vero e proprio paradosso, il Genoa, che era stato il capofila dello stesso, nell'era del professionismo non sarebbe più riuscito a ripetere i successi inanellati nell'era dilettantistica. Nei campionati 1925-26 e 1926-27 il Genoa non brillò particolarmente seppur partecipando ai gironi finali in entrambe le stagioni e piazzandosi rispettivamente al terzo e al quarto posto. Il fascismo intanto stava pesantemente contaminando (le finali del '25 avevano rappresentato un primo clamoroso segnale) anche il mondo del calcio, avendone intuito l'importanza propagandistica. Il Genoa fu costretto prima ad inserire il fascio littorio sul proprio stemma, poi ad italianizzare nome e ragione sociale che divennero Genova 1893 Circolo del Calcio. Il peggio era però che alcuni dirigenti genoani, avevano deciso stoltamente di adeguarsi all'autarchia di moda e, dovendo per forza mettere un italiano sulla panchina genoana, avevano spinto lo "straniero" Garbutt a rassegnare le dimissioni. Era la fine di un'epoca, la più bella della storia genoana. Lo sostituì De Vecchi: dapprima l'anziano capitano fu giocatore-allenatore poi, dal dicembre del '28, diede ordini solo dalla panchina. Nel frattempo (il 7 giugno 1927) era stato presentato il progetto per il nuovo stadio di Marassi.



LA FINE DEL GRANDE GENOA

Mentre il calcio italiano si riorganizza in vista del girone unico, il Genoa continua a battersi con grande onore. L'addio di De Vecchi segna la fine di un'epoca. Il Genoa fa il suo esordio in Coppa Europa. Una ottima campagna acquisti porta il Genoa vicino alla stella, ma un errore di Banchero dal dischetto fa svanire il sogno.

Intanto procedeva la riorganizzazione dei tornei nazionali che doveva portare al varo del torneo unico, ed era iniziato il campionato con due gironi nazionali e un girone finale a 6 squadre. Il comportamento del Genoa in questa fase di transizione fu onorevole. Gli anni del dominio incontrastato erano ormai un ricordo, ma la squadra continuava a battersi ad alti livelli. Nel 1927-28, arrivato al girone finale, dovette cedere il passo al Torino del celebre Trio per due soli punti, in un torneo che aveva visto Levratto segnare ben 20 reti in 27 partite. Nel 1928-29 aumentarono ancora le partecipanti al massimo campionato: 16 per ciascuno dei due gironi nazionali le cui rispettive vincitrici si incontreranno in due finali. Ma il Genoa fu solo quarto nel suo girone. Fu quello il campionato dell'addio al calcio giocato di De Vecchi e di Catto (per un brutto incidente al menisco), mentre Burlando diradava notevolmente le sue presenze in prima squadra. Ma fu anche l'anno in cui il Genoa cadde nella sfera politica del fascismo: il 19 febbraio 1929 Giorgio Molfino, segretario politico del GUF, fu invitato ufficialmente a far parte del consiglio della società. Prima ancora che il campionato avesse termine i rossoblù parteciparono allo spareggio con il Milan per poter disputare la Coppa Europa, l'antenata della Coppa UEFA di oggi (la Coppa dei Campioni dell'epoca era chiamata Coppa Internazionale). Dopo due pareggi - 2-2 a Milano, 1-1 a Genova dopo i supplementari e mancando il tempo per una terza finale, le due squadre dovettero affidarsi al sorteggio, che favorì il Genoa. Ma quella prima esperienza in una competizione europea (cui partecipa anche la Juventus) ebbe termine al primo turno quando il Genoa fu sconfitto a Vienna dal Rapid, una delle più celebrate squadre dell'epoca, per 5 a 1. Nel ritorno a Marassi comunque il Genoa si lanciò all'attacco dal primo minuto giocando una generosissima e sfortunatissima partita, senza riuscire a schiodare il risultato dallo zero a zero iniziale (e colpendo ben quattro pali). A settembre la svolta: la Federazione - come già programmato molti mesi prima - dette il via al campionato a girone unico nazionale. E la nuova formula parve portare fortuna al Genoa forte di una squadra piuttosto ben assortita. La campagna acquisti vide l'arrivo del centromediano Albertoni, del portiere Bacigalupo e dell'attaccante Banchero. Con questi elementi base il Genoa disputò un notevolissimo campionato che lo portò ad un soffio dallo scudetto. Il sogno della stella si dissolse in una incredibile partita, la terzultima, giocata proprio contro la capolista Ambrosiana. Quel giorno era la festa dell'Aviazione e prima dell'incontro alcuni velivoli si esibirono in acrobatiche evoluzioni proprio sopra lo stadio. Uno degli aerei avrebbe dovuto lanciare sul prato il pallone della gara con un paracadute. Ma una delle tribune, stracolma di spettatori, crollò e nell'incidente rimasero ferite ben 167 persone tra cui due genovesi. Molti spettatori, nel fuggi fuggi generale, si riversarono sul terreno di gioco. Nonostante tutto la partita venne fatta disputare lo stesso (alle 17 e 20). Al quarto d'ora il Genoa era già in vantaggio di due goal grazie ad altrettante prodezze di Levratto e Bodini. Meazza dopo pochi minuti accorciò le distanze, ma fu ancora Levratto, poco prima della mezz'ora, a riportare il distacco dai nerazzurri a due lunghezze. Dopo tre soli minuti Meazza ristabilì le distanze, replicando al decimo minuto della ripresa. Ad agevolare il suo compito fu anche l'infortunio occorso a Bacigalupo poco prima del pareggio dell'Ambrosiana in uno scontro con lo scatenato Meazza. Il numero uno rossoblù era rimasto stordito e non si riebbe completamente (all'epoca non esistevano le sostituzioni) per tutto il resto dell'incontro. Anzi, ad un minuto dal termine - ancora sotto choc - si fece espellere per aver assestato un pugno all'interista Blasevich che lo aveva caricato piuttosto rudemente, raggiungendo Allemandi che lo aveva preceduto di pochi minuti. A rendere ancora più acuti i rimpianti del Genoa fu però il rigore fallito al 40' della ripresa da Banchero. Il Genoa, dopo il pareggio con l'Ambrosiana, vinse i due rimanenti incontri senza però riuscire ad agguantare i nerazzurri che si aggiudicarono il titolo con sole due lunghezze sui grifoni (50 e 48 punti) secondi assoluti. Era il canto del cigno del grande Genoa. Già nel febbraio dello stesso anno De Vecchi - ai ferri corti con la nuova dirigenza - aveva rassegnato le dimissioni. Fu sostituito da un tecnico magiaro, Geza Szekany. Fu in realtà un ottimo allenatore, ma la sua originalità lo rese ben presto inviso ai giocatori.

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