lunedì 7 febbraio 2011

Storia del Genoa 3

LA GRANDE GUERRA

Il calcio lascia il posto alle armi: scoppia la prima Guerra Mondiale. Anche il Genoa è costretto a versare il suo contributo di sangue alla vittoria dell'Italia. Muoiono Luigi Ferraris, Adolfo Gnecco, Carlo Marassi, Alberto Sussone e Claudio Casanova. Muore anche Spensley, mentre soccorre un soldato tedesco ferito oltre le linee.

Per quasi quattro anni (dalla primavera del 1915 all'inverno 1918) l'attività calcistica fu pressoché abbandonata. Molti atleti fecero quello che facevano milioni di giovani in tutta Europa, arruolandosi e andando a combattere una terribile guerra di trincea, che vide molti di loro non tornare a casa o tornarci con gravi mutilazioni. Anche il Genoa, come del resto le altre società italiane, dovette pagare il suo tributo di sangue alla Grande Guerra. Il primo a cadere fu Luigi Ferraris (cui sarebbe poi stato intitolato lo stadio di Marassi), poi il portiere Adolfo Gnecco, l'ala Carlo Marassi, l'attaccante Alberto Sussone e il terzino Claudio Casanova, deceduto a Genova per i postumi delle ferite riportate in battaglia. Se è però odioso fare paragoni in questi casi, non si può non mettere in rilievo che il vuoto più grande venne sicuramente lasciato da James Spensley il quale si era arruolato come ufficiale medico nell'esercito britannico e fu ferito in Germania mentre, in linea col suo carattere, stava generosamente soccorrendo un soldato tedesco oltre le linee. Spensley spirò il 10 novembre del 1915 dopo oltre un mese di agonia nell'ospedale militare di Magonza. Venne sepolto - dove riposa tutt'ora - con gli onori militari nel cimitero di Kassel.
Proprio al fine di ricordare il grande contributo dato dalla società rossoblù alla vittoria ottenuta dal nostro paese, il 24 maggio 1920 venne inaugurata nelle tribune dello stadio una lapide commemorativa dei 25 soci del Genoa caduti nel corso del conflitto. Ma oltre ad essi, va ricordato un altro genoano, che già era stato calciatore fra le fila dei ragazzi di Spensley vincitori del primo titolo del campionato riserve nel 1904, il quale si guadagnò la medaglia d'oro al valor militare (cosa piuttosto rara per un vivente) per un'eroica azione: Giuseppe Castruccio nella notte del 22 settembre 1917 era riuscito da solo - sospeso nel vuoto - a portare in salvo un dirigibile italiano gravemente danneggiato dall'antiaerea austriaca e il suo equipaggio.




TORNA IL CALCIO GIOCATO

Torna la normalità e con essa il calcio giocato. La Federazione dichiara la vittoria del Genoa nel torneo 1914-15. Ritorna anche Garbutt. Nuovi protagonisti si affiancano ai vecchi eroi. L'esordio di Ottavio Barbieri. Un incredibile arbitraggio di Varisco con la Juventus spiana la strada all'Internazionale.

Il 1919 fu l'anno del ritorno al calcio giocato. Ma soprattutto, la Federazione decise finalmente (23 settembre) di assegnare il titolo del campionato 1914-15, nominando il Genoa vincitore per la settima volta. La Società rossoblù richiamò i veterani dell'ultimo torneo prebellico e soprattutto fece rientrare dall'Inghilterra Mister Garbutt che non seppe resistere alle sirene di Davidson anche perché il suo stipendio venne aumentato a 8000 lire annue. Ma ai vecchi protagonisti di anteguerra, furono affiancati nuovi protagonisti: arrivarono i fratelli Bergamino, l'ex terzino savonese Ghigliano, il centravanti Brezzi, quasi tutti futuri nazionali. Ma l'elemento migliore il Genoa lo scoprì in casa in occasione di un'amichevole giocata a Marassi il giorno di Pasqua contro una
squadra formata da professionisti britannici ancora sotto le armi. Mancando un laterale destro, Garbutt convocò d'urgenza un giovane che si era distinto in quello stesso ruolo nella partita appena terminata nella squadra dei ragazzi: era il diciannovenne Ottavio Barbieri il quale, dopo aver indossata una maglia pulita, rientrò in campo con i titolari risultando anche con questi uno dei migliori. Da quel giorno, e per oltre un decennio, Barbieri fu praticamente inamovibile in quel ruolo. Il primo campionato del dopoguerra vide il Genoa compiere una passeggiata nel Girone Ligure e nel girone di semifinale nel quale si piazzò al primo posto, lasciandosi alle spalle la Pro Vercelli e il Milan. In forza di tali risultati, il Genoa era dunque considerato il favorito tra le tre finaliste dei gironi settentrionali. Ma sul neutro di Milano l'arbitro Varisco, si eresse a protagonista assegnando un inesistente rigore alla Juventus che riuscì così a pareggiare la rete iniziale di Santamaria. Poi convalidò un goal bianconero realizzato in palese fuorigioco e, per non farsi mancare nulla, espulse Della Casa e De Vecchi, per proteste. Per capire l'enormità della cosa, basterebbe ricordare che De Vecchi, plurinazionale, era proverbiale per la sua correttezza tanto che quella sarebbe stata l'unica macchia nella sua carriera. Di fronte a tanta spregiudicatezza, anche Traverso rientrò di sua volontà anzitempo negli spogliatoi. Contro un Genoa ridotto in otto la Juve triplicò facilmente, ma i grifoni riuscirono tuttavia a raccorciare le distanze con Sardi. Il successivo incontro con l'Inter (disputato a Modena e con un Genoa privo degli squalificati Traverso e Della Casa e dell'indisponibile Santamaria) si risolse in un pareggio che spianò così ai nerazzurri (che avevano già battuto la Juventus per 1 a 0) la finale (risultata poi vittoriosa) di Bologna con il Livorno vincitore del Girone Centro-Meridionale.



DA DAVIDSON A SANGUINETI

Avvicendamento ai vertici societari: se ne va Davidson, subentra Sanguineti. La scissione del 1921. L'incredibile harakiri con la Pro Vercelli. Il ritorno di Santamaria fa da prologo al trionfo del 1922-23. Il viaggio in Sudamerica consacra la grandezza del Genoa, che pareggia con la Nazionale argentina, aiutata da un incredibile prologo.

L'estate del 1920 iniziò con un avvicendamento al vertice della Società: lo scozzese Davidson lasciò la presidenza al genovesissimo Guido Sanguineti, senza peraltro abbandonare completamente il timone della nave rossoblù (Davidson ricoprirà la carica di vicepresidente fino al 1923 e rimarrà nel consiglio fino al 1927). Anche la squadra fu attraversata da venti di cambiamento, tanto che, per divergenze economiche, se ne andarono alcuni uomini chiave tra cui il fortissimo Santamaria - il vero regista della squadra che decise di passare alla Novese. Il Genoa risentì di queste defezioni tanto che gli incontri d'andata del Girone Ligure furono disastrosi: riuscì a vincere solo con lo Spezia e con la Rivarolese per squalifica a tavolino. Ma si risollevò nel ritorno con il ritorno di Wallsingham all'ala destra e di De Vecchi in cabina di regia, agguantando la qualificazione per le semifinali senza tuttavia andare più in là. La dirigenza rossoblù, comprese la lezione di quel campionato anonimo e, nell'estate del 1921, Sanguineti acquistò un buon numero di giovani provenienti da quelle squadre minori genovesi che nel torneo precedente avevano messo in difficoltà il Grifone. Dalla Spes arrivarono il forte portiere De Prà, il jolly Moruzzi ed il difensore Morchio; dall'Andrea Doria il centromediano Luigi Burlando. Infine dalla Serenitas era arrivato anche un ottimo centravanti - Edoardo Catto - che si sarebbe poi rivelato il miglior realizzatore di tutti i tempi nella storia del Grifone. La stagione 1921-22 si aprì con una novità eclatante: la Federazione - a causa di divergenze sulla gestione del Campionato - si divideva. Mentre alcune società ritenevano che, per il bene del calcio italiano si dovesse puntare sulla sua piena diffusione in tutto lo stivale, passando sopra a criteri qualitativi, altre società, tra cui il Genoa ritennero di non potersi piegare a questa impostazione. Furono così organizzati due tornei. Il Campionato della Confederazione Calcistica Italiana (cui facevano parte il Genoa e le altre squadre più forti) aveva abolito i gironi regionali (cosa che invece mantenne la Federazione Italiana Gioco Calcio) introducendo quattro gironi, due al Nord e due al Sud. Il Genoa trionfò nel suo, surclassando squadre blasonate come il Torino, il Casale e l'Internazionale. Dopo aver pareggiato a reti inviolate a Vercelli, il Genoa buttò via il lavoro di un anno, facendosi battere a domicilio, dopo essere passati in vantaggio grazie ad un autogoal del vercellese Bossola. La consapevolezza di avere la vittoria in pugno risultò fatale all'undici di Garbutt. Già raggiunti prima del riposo, De Vecchi e compagni non riuscirono più a riprendersi tanto che il centravanti Rampini siglò il secondo goal che portò definitivamente la Pro Vercelli alla vittoria e alla conquista (dopo la finale vittoriosa con la Fortitudo di Roma) del suo settimo e ultimo titolo. Il Genoa reagì a questa delusione riportando a casa il figliol prodigo Santamaria (il cui apporto era stato determinante alla Novese per la vittoria nella finalissima di Modena contro la Sampierdarenese nel parallelo campionato della F.G.C.I.) ed acquisendo il terzino Bellini e l'ala Neri. Ne derivò una miscela esplosiva che doveva portare il Genoa a trionfare nel torneo 1922-23, quello della riunificazione. A farne le spese fu prima di tutti il Milan (4-1 a Marassi e 3-1 a Milano), seguito dall Bologna (2-1 e 2-1). Fra le grandi solo la Juventus riuscì a resistere in casa propria (1-1) mentre a Genova anche la Vecchia Signora era uscita sconfitta (2-1). Entrato di gran carriera nelle finali del Girone Nord le vinse entrambi eliminando il Padova e (finalmente!) la Pro Vercelli. Non rimanevano che le due finalissime contro la vincitrice del Girone Centro-Sud, la Lazio. A Roma, prima della partita di ritorno, che avrebbe sancito la vittoria dell'ottavo campionato, la squadra e i dirigenti vennero ricevuti dal Papa e dal Capo del Governo Benito Mussolini il quale incitò i Genoani alla vittoria: "Siete i più forti, insegnate a questi Romani come si gioca! Domani dovete vincere!" Le parole del Duce furono confermate sul campo dai rossoblù, in una partita che fu insaporita anche da una sorta di passaggio di consegne tra due fuoriclasse, De Vecchi e Bernardini, che proprio in quel lasso di tempo cominciava la sua straordinaria carriera. La forza di quel Genoa, doveva trovare esplosiva conferma, proprio in quella estate del 1923 con una consacrazione internazionale. Le imprese di De Prà e soci avevano varcato l'Oceano e gli appassionati di football del Sud America richiesero a gran voce i Rossoblù. Il 28 luglio tredici titolari, quattro rinforzi azzurri di altrettante squadre (Girani, Romano, Moscardini e Baloncieri), l'allenatore Garbutt e il dirigente Ghiorzi si imbarcarono sulla motonave "Principessa Mafalda" per la grande avventura sudamericana. Anche in Argentina il Genoa si fece onore. Sconfitto (la stanchezza del viaggio si fece sentire) nella prima partita contro una rappresentativa della Lega Nord (1-2), vittorioso contro una della Lega Sud (1-0), il Grifone pareggiò l'incontro con la Nazionale Argentina allo stadio Barracas davanti a 50.000 spettatori in delirio. C'era però un piccolo particolare ad ingigantire l'impresa del Genoa: il goal che aveva portato in vantaggio i Sudamericani (poi pareggiato da un colpo di testa di Santamaria) fu segnato su passaggio del Sindaco di Buenos Aires, che aveva voluto dare il simbolico calcio d'inizio senza peraltro allontanarsi dal campo. I rossoblù, in attesa del vero e proprio via all'incontro, assistettero impassibili alla marcatura poi incredibilmente convalidata dall'arbitro di casa. Si recarono quindi in Uruguay dove furono sconfitti dalla Nazionale uruguagia (1-3) che circa dieci mesi dopo si sarebbe aggiudicata il titolo olimpico.

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