TANTO RUMORE PER NULLA
Nell'estate del 1930, arriva una notizia bomba: il Genoa ha acquistato Stabile, detto El Filtrador, una delle maggiori stelle del calcio mondiale. L'attaccante argentino, però, non riuscirà mai a calarsi nella realtà italiana. Il Genoa arriva quarto nel 1930-31, ma il dissidio tra i giocatori e Szekany è ormai evidente: la società manda via il tecnico e opta per la soluzione interna Stabile-Burlando. Ne deriva un pessimo undicesimo posto.
Nell'estate del 1930, una vera bomba mise a soqquadro l'ambiente calcistico nazionale: il Genoa, appofittando della normativa sugli oriundi, tesserò Guillermo Stabile, attaccante della nazionale argentina e dell'Huracan, uno dei più rinomati bomber della scena internazionale. Insieme a lui, arrivavano dall'Argentina i mediani Orlandini e Giglio, prelevati dal Deportivo e il terzino Pratto, anche lui dell'Huracan. L'arrivo di Stabile, proiettava il Genoa tra le maggiori favorite per lo scudetto e seminava entusiasmo in una tifoseria che ormai non nascondeva le sue mire. Purtroppo le cose andarono in maniera molto diversa. Un pessimo inizio, che vide la squadra di Szekany accumulare un grande distacco dalla vetta, lasciò ben presto i grifoni fuori dalla lotta per il titolo divampata tra Juventus e Roma.
L'esordio di Stabile, avvenuto all'ottava giornata, dette una scossa ad una squadra sull'orlo della crisi, portando una ventata di entusiasmo in un ambiente che tendeva pericolosamente alla depressione. In quella gara, El Filtrador segnò una straordinaria tripletta che sembrava la conferma delle eccezionali referenze che ne avevano accompagnato l'avvento, ma già nella successiva trasferta romana contro la Lazio, la cruda realtà venne alla luce. Quel giorno, infatti, i biancocelesti misero alle costole di Stabile un mastino come Furlani, il quale ben presto impedì all'attaccante argentino ogni movimento, vanificando in tal modo la mole di gioco che la squadra creava. Il 5-0 della Rondinella, indusse Szekany a modificare qualcosa nell'atteggiamento dei suoi giocatori, spingendoli a cercare altre soluzioni offensive. Il risultato fu ottimo, tanto che il Genoa, che alla settima giornata aveva otto punti di distacco dalla vetta della classifica, terminò al quarto posto a soli sette punti dalla Juventus. Naturalmente, a risentire del mutamento tattico fu Stabile, il quale alla fine della stagione poteva vantare soli sei goal in tredici partite. Anche i suoi connazionali, dimostrarono ben presto di non essere fulmini di guerra: Orlandini e Pratto, più il secondo del primo, arrivarono ad una striminzita sufficienza, mentre Giglio, che pure poteva vantare trascorsi col Boca Juniors, non riuscì mai a dimostrare di poter essere competitivo in un torneo difficile come il nostro. Molto meglio andò un altro rinforzo estivo, quel Berardo Frisoni che, acquistato dal Brescia, formò con Albertoni e Barbieri una solida mediana, capace di filtrare il gioco avversario e di rilanciare nel modo più appropriato per gli avanti rossoblù. A frenare parzialmente il cammino del Genoa, fu anche il dissidio ormai aperto tra Szekany e lo spogliatoio: la società decise di tagliare la testa al toro allontanando Szekany e puntando su una soluzione interna che prevedeva Stabile e Burlando in panchina.
La campagna trasferimenti vide l'arrivo di Mazzoni, interno modenese che si era messo in grande evidenza tra i canarini e di Esposto, attaccante argentino prelevato dall'Huracan, mentre assai più corposo era il capitolo delle cessioni. Partivano, infatti, Ercole Bodini, ceduto al Bari, l'ottimo Albertoni, alla Pro Patria, il terzino Lombardo, che dopo l'avvento di Pratto aveva trovato poco spazio, e l'interno Notti, all'Alessandria. Soprattutto la partenza di Albertoni destava seri dubbi, in quanto rendeva chiaro il proposito di puntare su Orlandini e Giglio, dei quali però era ormai abbastanza chiara la tendenza ad estraniarsi dalla contesa quando il clima si faceva arroventato. In un campionato dove l'agonismo faceva spesso premio sulla tattica, la mossa di Stabile e Burlando sembrava azzardata e l'inizio del torneo 1931-32 si incaricò di rendere subito evidente questa realtà. Già all'undicesima giornata, il Genoa si trovava a sette lunghezze di distacco dal Bologna capolista, ma il peggio doveva ancora arrivare e fu ancora una volta Roma, stavolta il campo di Testaccio, a rendere nel modo più chiaro lo stato effettivo delle cose. Il consueto furore agonistico che la Roma usava squadernare quando giocava nella sua tana, incenerì ogni pallida resistenza genoana, producendo un sonoro 6-0 che non fu ancora più schiacciante solo perché dopo aver segnato cinque reti in cinquanta minuti, i capitolini non vollero infierire nella ripresa su una squadra palesemente in crisi. La dirigenza cercò di correre ai ripari, associando l'ungherese Karl Rumbold alla guida tecnica, ma ormai il danno era stato fatto: il Genoa chiuse all'undicesimo posto un mediocrissimo torneo in cui l'unica nota lieta fu la conferma ad alti livelli di Mazzoni, capace di mettere a segno undici reti che evitarono una ulteriore caduta le cui conseguenze avrebbero potuto essere devastanti.
COMINCIA IL DECLINO
La dirigenza conferma Rumbold, ma procede ad una campagna acquisti minimale. Arriva l'ennesimo bidone argentino, Ganduglia, ma vengono ceduti Banchero e Levratto. Per fortuna del Genoa, esplode Esposto, le cui reti evitano ulteriori sofferenze. L'ottavo posto finale rende però evidente che il sogno di raggiungere il decimo scudetto, è destinato a rimanere tale e che bisogna ridimensionare gli obiettivi.
Il pessimo comportamento della squadra nel torneo appena concluso, spinse la dirigenza ad accantonare la soluzione interna puntare sul solo Rumbold, il quale aveva dimostrato la sua competenza nell'anno appena concluso e sembrava il più adatto a cercare di rimettere insieme i cocci di una squadra che sembrava aver perso la bussola. Se la scelta di Rumbold poteva essere considerata logica, assai meno avveduta sembrò la valutazione tecnica che dette luogo ad una campagna acquisti minimale, a seguito della quale arrivarono l'argentino Ganduglia dal Ferrocarril, il mediano Godigna dal Perugia e l'ala Ferrari dalla Roma. Proprio alla Roma fu invece ceduto Elvio Banchero, mentre verso Milano, direzione Ambrosiana, partiva Levratto, reputato ormai sul viale del tramonto.
Se la partenza di Levratto, che negli ultimi due anni aveva nettamente abbassato le sue consuete medie realizzative, poteva colpire più dal punto di vista affettivo, ben più grave poteva essere considerata quella di Banchero, che negli anni precedenti era stato una vera e propria colonna della squadra, tanto da arrivare alla maglia azzurra. La campagna acquisti, sommata al non eccelso torneo precedente, provvide a seminare grandi dubbi nella tifoseria, proprio in considerazione di acquisti che non solo non sembravano poter garantire un salto di qualità, ma neanche una navigazione tranquilla in un torneo pieno di insidie, nel quale squadre dalla non precisa identità tecnica potevano rapidamente naufragare. E a rendere ancora più dubbioso l'ambiente genoano, provvedeva l'ostinazione con la quale la dirigenza continuava ad insistere sulla fallimentare pista argentina, prestandosi alle manovre di intermediari senza scrupoli che sino ad allora avevano proposto giocatori che avevano regolarmente fallito o mostrato grandi difficoltà ad adeguarsi alla nuova realtà. Ganduglia era l'ennesima scommessa in tal senso e, visto l'esito dei suoi predecessori, i dubbi sembravano più che giustificati. Oltre a ciò, a destare preoccupazione era anche la valutazione che la campagna acquisti sembrava fare circa la qualità del materiale tecnico messo a disposizione di Rumbold. Le acquisizioni fatte, sembravano di puro contorno e sarebbero state giustificate soltanto in considerazione di una rosa molto più valida di quella esistente. Ferrari era un interno che nella sua precedente militanza romanista non aveva mostrato grandissimi numeri, mentre per Godigna pesava l'incognita del salto di categoria.
All'atto pratico, proprio Godigna, il meno accreditato dei tre, si rivelò l'acquisto più azzeccato, apportando alla mediana una solidità che risultò preziosa in un anno in cui la qualità tecnica della rosa era stata praticamente azzerata dalle cessioni di Levratto (il quale all'Ambrosiana aveva ritrovato d'incanto il rendimento dei giorni migliori) e di Banchero. Ganduglia, come era facilmente prevedibile, era rapidamente naufragato, frenato dall'incapacità di adeguarsi alla durezza delle difese italiche, mentre Ferrari aveva finalmente estratto dal suo sacco doti sino ad allora rimaste in ombra, garantendo un discreto rendimento e formando una buonissima coppia di interni col solido Mazzoni. Il rientrante Stabile, a sua volta, aveva confermato pregi e difetti della prima stagione, segnando sei reti in quattordici gare disputate e alternando ottime gare a partite in sordina che coincidevano con quelle in cui la spada prevaleva sul fioretto. Per fortuna del Genoa, proprio in quell'anno era esploso Esposto, autore di 15 reti e di una serie di partite di alto livello tecnico, cosicchè alla fine di una stagione non proprio esaltante, la squadra di Rumbold riuscì a migliorarsi leggermente rispetto al 1931-32, terminando ad un ottavo posto che aveva comunque evitato maggiori sofferenze. Era ormai chiaro, però, che il sogno di raggiungere il decimo scudetto era destinato a rimanere tale e che gli obiettivi dovevano essere decisamente ridimensionati.
PER LA PRIMA VOLTA IN SERIE B
Rumbold viene avvicendato da Nagy. La campagna acquisti ridotta all'osso, col solo acquisto di Amoretti, prepara il terreno per il calvario del 1933-34. La fragilità della squadra e la totale assenza di risultati in trasferta, uniti all'anno orribile degli attaccanti, portano ben presto la squadra sul fondo della classifica. Il verdetto arriva a tre giornate dal termine, con la sconfitta di Palermo: il Genoa è per la prima volta in serie B!
Se era plausibile che gli obiettivi fossero ridimensionati, in considerazione di un deciso scadimento del materiale tecnico, nessuno poteva però immaginare quello che sarebbe successo di lì a poco. Il primo grande errore fu compiuto dalla dirigenza, che invece di confermare Rumbold, decise di avvicendarlo con un altro ungherese, quel Joszef Nagy esonerato l'anno precedente dal Bologna. Probabilmente, alla base di questo errore ci fu una sopravvalutazione delle forze a disposizione, che spinse qualcuno a ritenere che con un altro trainer si potesse risalire qualche posizione nella scala dei valori. Invece, Rumbold aveva tratto il massimo da una squadra che tecnicamente era ormai lontana parente di quella che aveva fatto sognare la tifoseria e soltanto una accorta campagna di rafforzamento avrebbe potuto ridare linfa ad una rosa che andava sempre più impoverendosi. Accadde esattamente il contrario. La campagna acquisti si ridusse ad un solo vero acquisto, quello del promettente portiere Amoretti, prelevato dal Padova, il quale andava a prendere il posto di Bacigalupo. Sul fronte delle cessioni, c'era inoltre da registrare quella di Frisoni, che sul momento passò abbastanza inosservata, ma che nel prosieguo della stagione riverberò effetti negativi pesantissimi sul rendimento della mediana.
Una campagna acquisti così ridotta non poteva che rafforzare i timori della parte più accorta della tifoseria, anche se si sperava sempre in una esplosione di Stabile e degli altri numerosi argentini che avrebbe potuto ovviare all'immobilismo societario. La buona partenza, che vide gli uomini di Nagy sconfiggere in casa la Pro Vercelli e pareggiare a reti bianche a Napoli, sembrò diradare i primi timori, ma poi alla terza giornata arrivò la Triestina a suonare il primo campanello di allarme. La rete segnata da Rocco nel primo tempo, bastò ai giuliani per violare il campo genoano, ma soprattutto inaugurò un periodo nel corso del quale i rossoblù misero in mostra tutti i difetti di una squadra mal costruita in estate. Già alla sesta giornata, dopo il 3-1 rimediato ad Alessandria, Stabile e compagni si ritrovarono in fondo alla classifica. La successiva sconfitta di Roma con la Lazio inzeppata di brasiliani, fu riscattata una settimana più tardi dalla vittoria interna col Bologna che, accoppiata allo 0-0 di Livorno, sembrò il preludio ad una rapida risalita in classifica. Ancora una vittoria interna, sul Brescia, spinse la squadra di Nagy a metà classifica, ma all'undicesima giornata arrivò la tremenda scoppola di Torino coi bianconeri, un 8-1 maturato quasi completamente nella ripresa che era la più eloquente conferma della fase di involuzione della squadra.
Proprio il rendimento esterno divenne il tallone di Achille dei grifoni. Mentre infatti in casa qualche vittoria ridava linfa alle speranze di poter terminare il torneo senza troppi danni, ogni volta che il Genoa usciva dai confini liguri arrivavano terrificanti scoppole. Il 5-0 di Milano con l'Ambrosiana, il 3-1 di Torino coi granata, il 2-0 di Vercelli, la dicevano lunga sulla fragilità di una squadra che non riusciva a reagire psicologicamente alle avversità. Il sempre ottimo rendimento di Mazzoni, fu vanificato dall'annata terribile in cui incapparono gli attaccanti, a partire da Esposto, lontano parente del giocatore che l'anno prima aveva fatto mirabilie. Stabile non riuscì mai ad elevarsi dalla mediocrità, tanto che la squadra si trovò ben presto priva di un efficace terminale offensivo, aggiungendo questo difetto alla scarsa tenuta dei reparti arretrati. In particolare, si fece sentire l'assenza dell'ottimo Frisoni, che non era stato rimpiazzato adeguatamente, tanto che anche Godigna vide calare fortemente l'ottimo rendimento prodotto nell'anno precedente. Con l'inizio del girone di ritorno, vennero al pettine tutti i nodi che non erano stati sciolti in estate. Alla sconfitta di Vercelli, fece seguito il deludente pareggio interno col Napoli, ottenuto solo grazie ad un serrate finale che aveva prodotto la rete di Godigna. Ancora una rete di Rocco, condannò poi gli uomini di Nagy all'ennesima sconfitta esterna, seguita dal 5-0 interno col Casale che risvegliò le speranze. Era solo una illusione, come dimostrò il prosieguo del torneo. Ad ogni vittoria interna, faceva seguito regolarmente un tonfo esterno e quando la Lazio violò il terreno di Genova, anche i più ottimisti dovettero arrendersi all'amara realtà di una squadra che non aveva la necessaria forza per ritirarsi in piedi. Il calvario dei grifoni proseguì domenica dopo domenica, terminando il 29 aprile del 1933 con la sconfitta di Palermo che condannava matematicamente gli stessi alla prima retrocessione della storia.